Pace e disarmo, utilizzo diverso  dell'ambiente e un'equa ridistribuzione delle risorse sono le uniche strategie  globali che permettono sopravvivenza e convivenza tra i popoli.  Condizioni necessarie e non sufficienti: rappresentano un punto di partenza. Al  contrario la guerra, la corsa al riarmo, la rapina e lo spreco di risorse  naturali, l'aumento delle disuguaglianze portano il mondo alla distruzione ed al  collasso.
  Con l'obiettivo strategico del disarmo avanziamo proposte per  la prossima finanziaria che vanno nel segno della riduzione della spesa per le  armi e della riconversione industriale dal militare al civile. Proposte che  contrastano il nucleare e l'adesione del nostro Paese allo scudo antimissile e  che tendono a ridurre, attraverso una rinegoziazione, il numero delle basi  militari straniere nel nostro territorio. (...)
  La spesa per la Difesa
  Anche in questi giorni di finanziaria abbiamo sentito il  ministro Parisi lamentarsi dell'esiguità delle risorse per la Difesa che,  secondo lui, sarebbero solo sull'1% del Pil, contro un fantomatico impegno di  portarlo al 2% "europeo", preso in sede internazionale. Ma a parte il fatto che  di questo impegno il Parlamento italiano non è stato informato, non è vero che  l'Italia spende "solo" l'1%, e non è vero che è al di sotto degli altri paesi  Europei.
  Da un confronto incrociato tra i dati Eurostat e Nato risulta  che l'Italia dedica complessivamente alla Difesa più  dell'1,5 % del Pil, percentuale quasi in media con il resto  dell'Europa (e superiore, per esempio, alla stessa Germania), mentre la spesa  sociale nel nostro Paese risulta essere notevolmente inferiore (il rapporto è di  circa uno a tre) rispetto agli altri Paesi europei. Faccio un esempio: in Italia  si dedica il 2,7 % del Pil alla spesa sociale, in Germania l'8,3, senza contare  che di parte della spesa sociale - com'è giusto, ovviamente - godono gli stessi  familiari dei militari: servizi per l'infanzia, l'istruzione e i trasporti  pubblici. Per non citare le spese molto inferiori in  Italia rispetto al resto del-l'Europa per l'università e la  ricerca. Sempre i dati Nato riportano che il nostro Paese ha  speso, per la Difesa, nel 2005 quasi il 2% (...); nel 2006 l'1,7%; nel 2007,  grazie ai fondi aggiuntivi della finanziaria, ha raggiunto quasi il valore del  2005!
  Il punto è che la Difesa sottrae dal conteggio finale diverse  voci che invece dovrebbero fare capo a questo ministero. 
 Quindi non è vero che la spesa per la difesa è bassa: il tema è  quello di una spesa migliore e diversa. La crisi di risorse per il nuovo  arruolamento, per esempio, come del resto le spese per l'esercizio, dovrebbero  essere risolte destinando a questi scopi le cifre impegnate in armamenti non  confacenti agli obiettivi della nostra politica estera di sicurezza e difesa,  previsti dalla Costituzione. Lo argomentiamo nel merito.
  Le spese per gli armamenti = 3,257 miliardi di euro nel  2008
  Le spese per armamenti rappresentano una delle voci più  onerose, più opache del bilancio dello Stato e una delle meno note all'opinione  pubblica (nelle scorsa finanziaria più di 3,257 miliardi di euro). Risulta  difficile capire la reale portata di questi investimenti, sia perché sono spese  protratte in decenni, sia perché risultano suddivise tra bilancio della Difesa,  bilancio delle Attività produttive (ora Sviluppo economico), o proprio perché  affidate ad espedienti creativi come leasing o mutui. Per questo nella  risoluzione - a firma di tutta l'Unione - sul Dpef di luglio abbiamo voluto  inserire, nel senso della trasparenza, la richiesta che tutte le risorse e gli  investimenti che riguardano gli armamenti che oggi, con la scusa del dual use  ("doppio uso", cioè sia militare che civile, ndr), sono inserite nel bilancio  del ministero dello Sviluppo economico rientrino nel bilancio della Difesa. Cosa  c'entra l'uso duale con l'Eurofighter, con le fregate Fremm, col sistema di  combattimento della nuova Unità maggiore (la portaerei Cavour)... e tanti altri  strumenti di guerra di ampia proiezione (e quindi non difensivi né adatti per il  peace-keeping), finanziati col contributo del ministero dello Sviluppo  Economico? Se ne può pensare un uso civile? (...)
  Oltre a questa nota di metodo, notiamo che, nel merito delle  spese per gli armamenti, la parte del leone la fanno i mezzi aerei (1.360  milioni di euro) e i mezzi marittimi, mentre la maggiore attività delle nostre  Forze armate consiste in missioni internazionali terrestri di peace-keeping dove  la qualità e la competenza dei nostri militari sono apprezzate  internazionalmente: dovrebbero essere queste, soprattutto in epoca di  restrizioni finanziarie, le nostre priorità.
  Questo fatto richiama le sempre citate parole pronunciate più  di un anno fa dall'ex capo di Stato maggiore della Difesa, generale Fraticelli,  che lamentava: "Ci servono più di cento aerei d'attacco? Ci servono una nave  portaerei e dieci fregate multiuso? Il modello che prevede maggiori capacità  offensive a quale scenario dovrebbe adattarsi? A chi dobbiamo andare a fare la  guerra? Quali minacce dobbiamo fronteggiare? Qual è la giustificazione  politica?".
  Invece dalla scorsa finanziaria è aumentata la sproporzione tra  la cifra stanziata per gli armamenti (1.700 milioni di euro più 1.550 solo per  il 2007) con le spese d'esercizio, che riguardano manutenzione e addestramento  (350 + 150 milioni di euro), che determinano la sicurezza per le condizioni  operative dei nostri militari, che rappresentano la vera risorsa delle nostre  Forze armate. (...)
  Le altre spese
  Ci sono altre voci che andrebbero ricomprese nel bilancio della  Difesa:  lo stanziamento relativo alle  componenti militari delle missioni internazionali che invece nel  bilancio del 2006 fanno capo alla Difesa solo per 40 milioni di euro. Mentre il  grosso della cifra (900 milioni di euro per la parte militare) è iscritta in un  apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione del ministero delle  Finanze. All'interno del decreto di rifinanziamento delle missioni, approvato a  marzo, c'è anche una "chicca" che pur destinando una cifra non ingentissima,  "solo" tre milioni e mezzo di euro, riguarda un contenuto giustamente  contestato: il pagamento dei contractors presenti a Nassiriya a protezione  dell'Eni che vi persegue i suoi contratti di Production sharing. Questo fa parte  della protezione degli "interessi globali" del nostro Paese per difendere i  quali il governo Berlusconi si accordò con Bush nella guerra irachena. Ma il  governo dell'Unione non aveva invocato per l'Iraq una discontinuità?
  Non solo: teoricamente, dovrebbero riferirsi alla Difesa anche  le spese per il Sismi, per le quali il relativo capitolo verrà alimentato nel  corso dell'esercizio con i fondi accantonati dal ministero dell'Economia per le  esigenze di Cesis, Sismi e Sisde. Tali fondi nel 2007 hanno subito un incremento  fortissimo, attestandosi su 615 milioni di euro, con un incremento di 237  milioni rispetto all'assestamento di bilancio 2006.
  E perché non contare il fatto che l'Italia è il Paese che spende di più della maggior parte  dell'Europa per ospitare basi e contingenti Usa e Nato? Dal  documento del 2004 "Statistical Compendium on Allied Contributions to the Common  Defence", che riporta dati del 2003/2004, risulta che l'Italia è tra i Paesi  alleati quello che più contribuisce alle spese degli Usa in Europa (mediamente  il contributo dei Paesi Nato si aggira intorno al 28%; l'Italia partecipa al  costo con il 41%, la Germania con il 32,6%, la Gran Bretagna con il 27,1%). Il  contributo italiano è di circa 365 milioni di dollari (al cambio del 2003) e  riguarda sia le spese dirette (3,02 milioni di dollari) sia soprattutto quelle  indirette come la concessione gratuita dei terreni e delle installazioni delle  basi, l'esonero del pagamento di tasse locali, Iva, accise sui carburanti. Il  tema politico delle basi militari - che per economia di tempo non tratteremo in  questa sede - riguarda non solo la sovranità italiana e la militarizzazione del  territorio ma ne fa conseguire effetti finanziari non indifferenti.
  Con questo computo complessivo si raggiunge e si supera anche  il livello di spese per la difesa di altri paesi Europei e si dimostra  l'attendibilità del dato Nato. Per tutte queste ragioni è una bugia sostenere  che la spesa per la difesa è bassa ed è disonesto utilizzare questa  argomentazione per comprimere le risorse per l'esercizio e il personale.
  Nella scorsa finanziaria con riferimento alla ripartizione  delle spese per grandi agglomerati (personale, esercizio, investimenti), le  percentuali di spesa riferite a questi per la sola funzione Difesa risultano  essere le seguenti: per il personale 61,7 %, per l'esercizio 15,9 %, per gli  investimenti il 21,08 %. Da quanto sopra esposto risulta, quindi, un equilibrio  diverso tra le differenti componenti rispetto alla previsione del 2006: la spesa  per il personale è scesa dal 72,34 al 61,70 %, quella per l'esercizio presenta  un lievissimo aumento dal 15,18 al 15,90 %, mentre fa un deciso balzo in avanti  quella per gli investimenti che raggiunge il 21,8 % contro il 12,48 %. È la  spesa per le armi quindi che ha determinato la contrazione delle voci del  personale e dell'esercizio! (...)
  Gli sprechi
  In modo molto schematico ricordiamo gli sprechi più vistosi:  quello di oltre 45 mila euro per i 9 tribunali della magistratura militare (ma  questa finanziaria li porterebbe a uno); quello delle tre sanità militari  (dell'esercito, dell'aero-nautica e della marina: raggiungendo la cifra di  41.013.669); quello degli appalti esterni che spesso penalizza i lavoratori  civili della Difesa arrivando a precarizzare il loro percorso. Si potrebbero  fare consistenti risparmi riducendo le spese per parate, manifestazioni,  esibizioni (il solo noleggio dei ponteggi per la parata del 2 giugno costa  800.000 euro). Si risparmierebbe anche unificando i servizi comuni alle tre  Forze armate come l'amministrazione e il commissariato. Non solo: se ci fosse il  divieto di utilizzare personale militare negli uffici ministeriali in posizioni  amministrative che dovrebbero essere ricoperte da civili, si risparmierebbe una  differenza stipendiale del 30%. Vorrei anche ricordare i quasi 3,8 milioni di  euro spesi ogni anno dal ministero della Difesa per fare le pulizie negli  alloggi di 45 generali e ammiragli.
  Ma è anche uno spreco, quantomeno formativo, mandare a casa  dopo oltre 3 anni quegli ufficiali in ferma triennale prefissata che la legge  sull'abolizione della leva, votata con Berlusconi nel 2005, ha trasformato in  precari. Questo mentre l'ultima finanziaria ha previsto la regolarizzazione dei  dipendenti pubblici in servizio a tempo determinato da almeno 3 anni. Questo  fatto invece d'invertire, alimenta un rovesciamento della piramide operativa e  anagrafica e determina un sovradimensionamento dell'organico negli alti gradi a  cui consegue un inefficace investimento. Troppi militari concentrati negli alti  gradi, pochi in quelli bassi. Spendere meno, spendere meglio.
  Le nostre proposte
  Le nostre proposte non sono di oggi. Alcune sono state avanzate  e accolte dal programma del centro-sinistra anche se il nostro governo le ha  contraddette: nel caso della spesa per le armi raddoppiandole (rimuovendo che il  simbolo dell'Unione è l'arcobaleno della pace) o in altri casi ignorandole  (mancata riconversione dal militare al civile e rimozione delle armi  nucleari).
  Noi le riproponiamo, assieme ad altre, con sempre maggiore  insistenza.
  1) La riduzione della spesa per gli armamenti, che è accolta  anche dalla risoluzione sul Dpef, è un obiettivo credibile (alcuni sistemi  d'arma non sono indispensabili al perseguimento delle strategie della nostra  politica estera di sicurezza e Difesa), perseguibile (attraverso la  riconversione), necessaria (conclamata ristrettezza delle risorse del Paese).  Iniziando con la soppressione del programma JSF (il cacciabombardiere Nato,  ndr), e senza trascurarne altri sulla cui produzione non c'è stato ancora un  voto parlamentare (che invece c'è stato per la fase ricerca e sviluppo). Non  solo il nostro Paese non deve acquistare questo sistema d'arma, ma non lo deve  nemmeno produrre per altri, perché non si tratta di una produzione "neutrale". È  necessaria una moratoria degli accordi Looked-Martin-Finmeccanica: pagare una  penale oggi per uscire dal programma è certamente meno gravoso che sostenere il  successivo finanziamento che totalizzerà 18 miliardi di euro.
  2) Riconvertire. La riconversione dal militare al civile è  sicuramente conveniente per la pace, e - se affrontata con scelte alternative di  politica industriale che modifichino il core business delle imprese mantenendo  produttività, competitività e occupazione - può risultare economicamente  efficace. Teniamo molto al mantenimento dei livelli d'occupa-zione: è un tema  che va affrontato con le organizzazioni sindacali e che non può prescindere da  strumenti (come per esempio l'Agenzia per la riconversione) da prevedersi con la  legge. Va in questo senso il disegno di legge di Francesco Martone e persegue  questo obiettivo anche la previsione di un fondo, non simbolico, proposto dal  Dpef. Con una vigilanza particolare: non si tratta di un ulteriore investimento  per consentire a quelle aziende che continuano a produrre armamenti di  concedersi anche una nicchia per la produzione civile; si tratta invece di  seguire l'esempio virtuoso della Regione Lazio che, nell'approvare il piano  d'investimenti dei fondi strutturali europei per gli anni 2007-13, esclude dagli  incentivi "le imprese coinvolte direttamente o indirettamente nella produzione  di beni e servizi per armamenti mentre saranno incentivate le imprese che  intendono riconvertirsi su settori civili tecnologicamente avanzati".
  3) Rimuovere le armi nucleari dal nostro Paese (...).
  4) No alla partecipazione dell'Italia allo scudo balistico  antimissile.
  5) Rinegoziare le basi Usa e Nato nel nostro Paese. Il nostro  Paese rischia di diventare "la portaerei degli Usa" e di essere così coinvolto  direttamente - come già successo per l'Iraq - nelle sue guerre preventive e  permanenti. Il programma dell'Unione prevedeva una rinegoziazione delle basi che  è stata perseguita e si è conclusa favorevolmente per l'isola della Maddalena  (l'aveva iniziata Soru nella scorsa legislatura, ma ha subito uno scacco  gravissimo a Vicenza dove il popolo "No Dal Molin" è stato lasciato solo dal  governo. Nel frattempo si sono ampliate Camp Darby e Sigonella. Perché il  presidente della Toscana Martini non si muove in questo senso? Noi continueremo  ad insistere.
  6) Accogliamo la proposta di "Sbilanciamoci!" di introdurre  meccanismi fiscali penalizzanti per il rilascio del porto d'armi. L'Italia è al  secondo posto mondiale nella produzione di armi leggere, e anche il disegno di  legge che ho presentato per applicare a questo settore gli stessi paletti  previsti dalla legge 185/90 va nel senso di aumentarne il controllo.
  7) Affrontare il tema dell'organico delle Forze armate a  partire non solo da quanto sostenuto dal capo di Stato maggiore ammiraglio di  Paola (portandolo da 190mila a 160mila militari) ma anche alla luce della  sostenibilità finanziaria, dalla soluzione del tema del precariato e soprattutto  della strategia internazionale del nostro Paese.
  8) La determinazione di un nuovo organico ha conseguenze, non  solo sul ribadire la necessità di una riconfigurazione della missione in  Afghanistan, da militare a sicurezza internazionale dell'Onu, ma anche sulla sua  sostenibilità finanziaria. Perché l'Italia è presente nel teatro afgano con un  numero di uomini che a dicembre supererà i 2.500, mentre la Francia ne ha 1.250  e la Spagna poco più di 800? La trattativa per la pacificazione in quel Paese si  può sviluppare solo con una strategia d'uscita dei contingenti occupanti che  hanno provocato morti e distruzione (...).
  9) Sviluppare azioni positive sul terreno della pace:  finanziare i corpi civili di pace e l'Istituto Ispace (...).
 10) Sottoporre ai controlli della legge 185 - che va difesa ad  oltranza - anche il commercio delle armi leggere.
  Queste sono le nostre richieste al governo di cui facciamo  parte, che sosteniamo, che abbiamo contribuito a far eleggere. In parte, lo  abbiamo detto, si tratta di richieste già presenti nel programma dell'Unione e  stolidamente disattese, provocando sofferenza in molti ambienti della società e  in settori della maggioranza. Non vogliamo tutto e subito, ma un segno di  inversione di rotta lo pretendiamo hic e nunc: e finora non ci pare che questa  finanziaria vada - a proposito degli argomenti trattati - nel segno della  discontinuità. Contiamo che ci sia spazio per migliorarla.
 Silvana Pisa