ARTICOLO del 2006 che dice cose molto attuali purtroppo anche oggi, ma che non saranno mai ascoltate
L'Italia rischia di ripetere la triste esperienza inglese, con il passaggio dal sistema retributivo, il quale prevedeva una pensione commisurata agli ultimi stipendi del lavoratore, al sistema contributivo, che invece calcola il monte pensione in base ai versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa, i cittadini italiani sono chiamati a crearsi cio' che viene definita Pensione Integrativa.
Il lavoratore deve quindi farsi onere di gestire in modo piu' o meno autonomo la creazione del proprio monte pensione.
Ancora una volta, l'approccio e' quello sbagliato: sia politicamente che sul piano piu' strettamente tecnico. Buona parte delle responsabilita' sono da addebitarsi al sindacato che continua con un atteggiamento profondamente conservatore a difesa, in primo luogo, della sua struttura.
Il sistema pensionistico italiano ha bisogno di una forte operazione-verita'.
I lavoratori che pagano i contribuiti ed i pensionati che riscuotono le prestazioni sono troppo spesso vittime di una cattiva informazione. Espressioni come "i soldi versati per i contributi pensionistici sono buttati via perche' io non prendero' mai nulla" oppure "ho pagato fior di contributi ed ho una pensione da fame" sono, solitamente, frutto di una mancata conoscenza dei numeri che sono in gioco.
La cattiva informazione produce comportamenti controproducenti sia per il singolo lavoratore (lavoro irregolare) che per il sistema complessivo (corsa al pensionamento).
La prima cosa che il governo dovrebbe fare, quindi, e' quella di fare una corretta informazione sui numeri in gioco sia a livello di singolo contribuente, sia livello di sistema complessivo. Questa "operazione-verita'", pero', non verra' mai fatta perche' dovrebbe mettere in luce anche le profonde (e diffusissime) ingiustizie del sistema.
Una fetta molto elevata degli attuali pensionati percepisce una pensione troppo alta rispetto ai contributi versati.
Questa semplice verita' non viene mai detta dai sindacati.
Il problema non riguarda solo casi vergognosi, come il "vitalizio" dei deputati, ma e' generale e diffuso.
La riforma del sistema pensionistico dovrebbe basarsi su tre cardini:
1 - Liberta'
Ciascuno deve avere il diritto di andare in pensione quando vuole ricevendo una pensione matematicamente collegata ai contributi pensionistici versati (in base a calcoli attuariali che includano i fattori anagrafici e demografici) a patto che la pensione risultante sia superiore all'assegno sociale.
2 - Semplicita'
La normativa previdenziale, come quella fiscale, e' un dedalo infinito di norme volutamente complesse nel quale il semplice lavoratore non puo' districarsi se non con l'aiuto di un sindacato o di un professionista.
Basandosi sul principio di liberta' e' possibile (e necessario) sfoltire la normativa attuale e permettere a ciascun lavoratore di conoscere i propri diritti pensionistici senza affidarsi alla mamma-sindacato.
3 - Giustizia
E' indispensabile scindere le prestazioni assistenziali da quelle previdenziali effettive coperte dai contributi.
Le prestazioni assistenziali devono essere garantite con la fiscalita' generale e non con i contribuiti previdenziali.
E' necessario sfatare il mito dell'intoccabilita' dei diritti acquisiti.
Se tali diritti sono profondamente ingiusti, in primo luogo devono essere pagati con la fiscalita' generale e non devono gravare il sistema pensionistico pubblico.
Di anno in anno, si verifichi poi in finanziaria se ci sono i soldi necessari per far fronte a queste uscite o se non sia piu' giusto destinare parte di tali risorse alle prestazioni assistenziali.
Siamo convinti che se la riforma del sistema previdenziale pubblico venisse affrontata con questi criteri:
verita', liberta', semplicita' e giustizia,
cosi' come sopra sintetizzati, non solo l'equilibrio finanziario del sistema potrebbe essere agevolmente raggiunto in tempi rapidi, ma tutto questo potrebbe essere fatto con il consenso, non certo dei sindacati, ma dei lavoratori.