giovedì 27 settembre 2012

CASO CALUNNIA E DIFFAMAZIONE O REATO DI OPINIONE, chi colpisce non paga (settembre 2012)

Sallusti condannato, Fnsi: "Sentenza sconvolgente" www.ilgiornale.it
Solidarietà al direttore del Giornale dai colleghi giornalisti. 
Odg: "È intimidazione per tutti". Feltri: "Legge fascista". 
Sechi: "È un triste giorno per la libertà di stampa"

DOMANDA
Ma dove sono i liberisti (liberticidi) di sinistra? Nessuno s'indigna x questo? Il "colpevole" era già stato condannato ad 1anno con la condizionale e il direttore a 14 anni (ndr SONO MESI NON ANNI) senza condizionale? È giustizia questa? Mi vergogno sempre di più di essere italiano!!

RISPOSTA
Nessuno dice che i giudici hanno applicato la legge, col minimo del previsto nel caso specifico.
Sallusti non era (non lo è) incensurato e quindi non poteva godere delle attenuanti del caso.
Se c'è una colpa, quella è semmai della legge. 
Attenzione però.
Il reato non è "di opinione" ma è bensì collegato al fatto di aver riportato volontariamente una notizia in maniera falsa (se non addirittura "falsa" tout court).
In qualità di Direttore responsabile (e "responsabile" vuol dire un pacco di soldi che né io né te messi insieme ci sogniamo, ma vuol dire anche che la responsabilità è "penale") lui ha la responsabilità, appunto, di ciò che il giornale pubblica senza firma o sotto pseudonimo (Dreyfuss, nel caso specifico).
L'articolo, vedi allegato, è un coacervo di falsità, ad iniziare dal titolo.
Il giudice non ha ordinato l'aborto (sarebbe impossibile, legalmente) ma ha conferito alla ragazza ed alla madre la possibilità di scelta escludendo il padre che non era in grado di aiutarli nella decisione. Un percorso legalmente ineccepibile e fatto senza forzature.
Se leggi l'articolo non c'è traccia di questo. La ragazza non è stata costretta ad abortire ma, è chiarissimo dagli atti, è stata lei in primis a scegliere questa opzione.

Se un giornale pubblicasse un articolo senza firma in cui ci fosse scritto che xxxxxx fa carriera pagando tangenti e dando via i ciàp, probabilmente penso che passeresti la cosa agli avvocati e, se tu vincessi la causa (e la vinceresti) saresti ben felice di pensare che chi è colpevole paghi.
Attenzione, ulteriore: Sallusti poteva anche patteggiare (prima) un risarcimento ed evitare il carcere (lo pagano profumatamente anche per questo ed, in genere, sono anche ben coperti assicurativamente parlando) ma non ha voluto farlo, nonostante fosse certa la condanna, visto che l'articolo era indiscutibilmente un "falso", anche perché dall'altra parte c'era una sentenza scritta e depositata.
Ha voluto invece fare il martire. Ma il martire lo fa chi si batte per la libertà, non per chi difende la menzogna (e in questo caso non è altro che menzogna).
Poi, personalmente, non auguro a Sallusti il carcere, ma lui le leggi le conosceva e sapeva bene quello a cui andava incontro.

CONTRODOMANDA
Tu mettila come vuoi ma i "2 pesi e 2 misure" sono sotto gli occhi di tutti, le porcate le fanno tutti, e la gente lo capisce tanto é vero che si vendono sempre meno giornali, ma non si capisce come le sentenze pendano sempre e solo da una parte!!!

RISPOSTA
Se devo pensar male, mi vien da dire che il falso lo scrivono solo alcuni.
Penso invece che da una parte ci sia un senso di impunità che porta a scrivere il falso. Forse dall'altra quel senso non c'è, e quindi ci vanno coi piedi di piombo.
Per esempio, da quando a Firenze c'è l'edizione locale de "il Giornale", non ho mai letto una cronaca locale così infarcita di notizie riportate volutamente in maniera falsa (non dico di parte, non dico con opinione di parte, non dico con una visione parziale, dico proprio notizie false) che mai e poi mai avevo visto né su "La Nazione" (che è un giornale di destra ma che sa fare il mestiere ed ha ancora l'etica) né su La Repubblica né sul Corriere.

COMMENTO
Quanto sopra riportato è tratto da una conversazione pubblicata sul WEB in un Social Network sulla quale vogliamo esprimere un nostro commento.
Ieri sera (26/09/2012) ho sentito LA ZANZARA su Radio 24 e continuavano a ripetere la domanda "E' giusto dare 14 mesi (non anni!!) ad un giornalista?
Come se dicessimo è giusto darli ad un idraulico, ad una commessa, ad un disoccupato
Ma scusate la pena si da in base al reato, e a quanto stabilisce la legge, mica in base a chi lo ha commesso? 
Esempio:
Reato di diffamazione pubblica ed intenzionale
Direttore di giornale = assolto con formula piena e complimenti per l'incremento delle vendite
Idraulico = 14 mesi di stura cessi gratis
Commessa = sospensione dal lavoro e condanna ad alimentarsi con confezioni scadute
Disoccupato = condanna ai lavori forzati sino alla maturazione del diritto alla pensione
Ma siamo matti!
Reato di diffamazione pubblica ed intenzionale = xx mesi di carcere, 9.999 Euro di multa e basta CHIUNQUE SIA STATO

E poi la crociata si parte con la bagarre per il "reato di opinione", ma mica si tratta di quello, mica ha detto che le sinfonie di Beethoven fanno schifo e che il titanico compositore era, a suo parere,  una mammoletta, qui sarebbe come se dicesse che Beethoven si violentava il nipote, solo per mettere in cattiva luce il poveretto. 

Poi come diceva lo stesso "diffamato" il sig. Sallusti aveva tutti i modi per evitare la condanna, ad esempio "ritrattando" sul Giornale quanto affermato dallo sconosciuto Dreyfuss. Non lo ha fatto perchè (qui ci sono i due pesi due misure) sapeva benissimo che ne sarebbe scaturito un "caso mediatico" e quindi ci poteva marciare sopra, e che (pur non essendo incensurato) non avrebbe MAI scontato la pena
Voglio vedere se fosse stato un falegname di Viggiù che aveva calunniato il suo vicino di casa se la GALERA non se la sarebbe fatta. 
Il sig. direttore non ha manco accettato di sborsare la somma cui era stato condannato e che sarebbe andata in beneficenza.


La redazione del Giornale: "Siamo tutti Sallusti"
Vergogna, è una sentenza da Paese totalitario. I giornalisti del Giornale a fianco del direttore chiedono a Governo e Parlamento di intervenire

Vergogna. Vergogna. Vergogna. Soltanto nei regimi totalitari della Corea del Nord o della Repubblica islamica iraniana un direttore perché, come ha detto, «da uomo non libero non potrei più fare un Giornale libero». E così una legge liberticida applicata di giornale (<- MA IN CHE ITALIANO E' SCRITTO??) può finire in carcere per aver scritto un articolo. (<- NON PER AVERE SCRITTO UN ARTICOLO MA PER AVERE SCRITTO UNA FILIPPICA DIFFAMATORIA E FALSA) 
Ma da ieri questa aberrazione giuridica è una realtà anche in Italia.
La sentenza della Corte di Cassazione che, applicando una legge fascista, (<- QUI AVRANNO VERIFICATO SICURAMENTE A QUALE CI SI RIFERISCE? ANNO E NUMERO GRAZIE!)   ha confermato la condanna al carcere per il nostro direttore Alessandro Sallusti è scandalosa e indegna di un Paese civile. Non soltanto sono stati ignorati gli appelli per una volta unanimi che si sono levati dal Paese a partire dalle maggiori cariche istituzionali, ma nella sua assurda durezza la Corte non ha accolto neppure le richieste del sostituto procuratore generale della Cassazione, il quale aveva chiesto l'annullamento con rinvio della condanna per rivalutare la possibilità di concedere a Sallusti le attenuanti negate dal giudice di secondo grado.

Noi giornalisti del Giornale ci sentiamo condannati come il nostro direttore. E ci stringiamo a lui prendendo atto con rammarico delle sue dimissioni, (<- MA FIGURATI SE E' VERO!) rassegnate con integralismo talebano colpisce il direttore del Giornale per un articolo non scritto da lui (-<- MA CHISSA' CHI SARA' STATO, LO SCIOGLIAMO IL SEGRETO??) e pubblicato sul quotidiano Libero .
Il giudice di primo grado l'aveva condannato a una pena pecuniaria trasformata in appello, con una severità spropositata, in 14 mesi di reclusione senza attenuanti perché il nostro direttore è stato considerato «socialmente pericoloso».
Volevano che fosse privato della libertà, e così è stato, come nelle tirannie che credevamo esistessero soltanto nei libri di storia o in un'altra parte del mondo.

Con la Federazione nazionale della stampa, la redazione del Giornale constata allibita che questa sentenza è sconvolgente, sconfigge e mortifica la libertà di espressione e priva ingiustamente un uomo della sua libertà personale per delle norme aberranti e indegne di un Paese democratico.

Prendiamo atto delle tante attestazioni di solidarietà ricevute in queste ore. Al mondo politico, tuttavia, all'Italia la maglia nera per la libertà di stampa tra i Paesi democratici. Nemmeno la detenzione nel 2004 di Lino Jannuzzi, giornalista e senatore, ha smosso l'inerzia dei suoi colleghi parlamentari. La condanna di Sallusti deve spingere ora la classe politica a muoversi in fretta. Governo e Parlamento devono cancellare in tempi rapidi il carcere per i reati di opinione, (<- FALSO SU FALSO, I GIORNALISTI DI LIBERO CONTINUANO A PARLARE DI REATO DI OPINIONE MENTRE INVECE SI TRATTA DI DIFFAMAZIONE) secondo quanto ha sancito anche la giustizia europea, e riscrivere daccapo le norme sul rapporto tra libertà di stampa e tutela di chi si reputa diffamato.

Non è comprensibile né accettabile che nel nostro Paese ci siano delinquenti a piede libero e che in carcere finisca chi commette un reato di opinione. (<- CHE IN CARCERE NON CI ANDRA' NEMMENO PER UN SOLO GIORNO)
Non è comprensibile né accettabile che la magistratura influenzi non solo il corso della politica ma anche quello della stampa. (<- EILA! MA ATTENZIONE RAGAZZI DI LIBERO CON QUESTA FRASE CI POTREBBE ESSERE ANCORA UN'ALTRA DIFFAMAZIONE VERSO LA NOSTRA MAGISTRATURA O NO?)
Anche noi giornalisti, come il nostro direttore, non ci presteremo al gioco della giustizia politicizzata e saremo al suo fianco con i nostri lettori. 
Noi siamo tutti Sallusti. I giornalisti del Giornale. (<- NESSUNO AVEVA DEI DUBBI, DA DREYFUSS ALL'ULTIMO FIRMATARIO SARETE DI SICURO TUTTI SALLUSTI, ALTRIMENTI NON SARESTE A LAVORARE LI, O NO?)



venerdì 7 settembre 2012

Addio con un arcobaleno

Ieri pomeriggio, più o meno nello stesso momento in cui il Cardinal Martini moriva nella sua camera presso l'istituto Aloisianum di Gallarate, sopra Milano compariva un grande arcobaleno. Non uno di quegli arcobaleni striminziti che si vedono e non si vedono e che non capisci bene da dove inizino e dove finiscano. Non uno di quegli arcobaleni pallidi che non capisci bene dove inizia un colore e dove ne finisce un altro.
No! Quello era un arcobaleno bellissimo, che attraversava il cielo con due archi iridescenti paralleli: uno, più basso e più intenso; un altro, meno marcato, più lontano dalla linea dell'orizzonte.
Non so perché, ma nel vedere quell'arcobaleno mi sono venute in mente le parole con cui lo stesso cardinal Martini aveva rotto il lungo periodo di silenzio che si era imposto dopo le sue dimissioni dalla cattedra arcivescovile di Milano.
Nonostante le grandi qualità umane del cardinal Tettamanzi, molti di noi si sentivano un po' orfani, perché il cardinal Martini era stato il vescovo che ci aveva fatto capire che una cosa seria come la Fede, non è un abito che si indossa e che si toglie in seguito alle cose sensate o alle sciocchezze che sentiamo proclamare dai pulpiti.
E' stato lui che, non solo ci ha detto di "metterci in ascolto della Parola di Dio", ma ci ha anche insegnato concretamente in che cosa consistesse questa esperienza di ascolto liberante e vivificante.
Sentivo quindi come un peso il silenzio che si era imposto, dopo essersi trasferito a Gerusalemme: mi mancava la sua parola, mi mancavano le sue riflessioni lucide e profonde, mi mancava la sua testimonianza di una Fede che si dimostrava forte anche di fronte alle difficoltà e che, per questo motivo, non fuggiva dalle difficoltà che avrebbero potuto metterla in crisi.  
L'intervista al Giornale del Popolo (un quotidiano svizzero) con cui il cardinal Martini rompeva il suo silenzio era molto "privata": il cardinal Martini raccontava le sue giornate a Gerusalemme, le ore dedicate allo studio delle lettere paoline e il tempo che finalmente poteva dedicare alla preghiera e, in particolare, alla «preghiera di intercessione».
Tra tutte, una frase mi ha particolarmente colpito: quella in cui Martini si chiedeva se non fosse quello il periodo della sua vita in cui stava servendo meglio la Chiesa e l'umanità.
Ricordo la mia sorpresa nel leggerla: «Ma come! - mi sono detto - Uno come lui che è stato uno dei biblisti più prestigiosi del ventesimo secolo. Uno come lui che ha guidato per più di vent'anni una delle diocesi più importanti del mondo. Uno come lui che potrebbe benissimo diventare papa che dice che, forse, le cose più utili che ha fatto per la Chiesa sono lo studio delle lettere di Paolo e le tante preghiere di intercessione che accompagnano le sue giornate a Gerusalemme».
Poi, però, ho capito e, ancora una volta, sono rimasto ammirato davanti alla fede profonda del cardinal Martini che, ancora una volta, mi insegnava che siamo davvero nelle mani di Dio e che è solo affidandoci a lui che ci abbandoniamo realmente in buone mani.
L'arcobaleno che ho visto ieri su Milano mi è così sembrata la ripetizione di quelle sue parole di tanti anni fa: «Non preoccupatevi! Non abbiate paura. Non sono più con voi e non sentirete più la mia voce, ma da dove sono, continuerò a pensarvi e pregare per ciascuno di voi!».
E così, sull'auto che mi portava a casa dopo una giornata sfiancante, mi sono messo a piangere di commozione.
Gianni Geraci
Portavoce del Gruppo del Guado Cristiani Omosessuali

Ci sarà tempo e modo Carlo Maria Martini, scomparso all'eta' di 85 Milano 31 agosto 2012



Neanche nelle peggiori famiglie, quando muore qualcuno che non è proprio… come dire? 'simpatico' ci si accanisce contro così tanto.  Almeno nei giorni della morte. Almeno nei giorni in cui la salma è ancora lì, presente. Perché c'è quel minimo di pudore che ancora guida i nostri comportamenti. Conosciamo tutti famiglie che vivono tensioni interne, anche molto pesanti; figli che non parlano con i genitori o viceversa. Ma quando arriva la morte, almeno si fa silenzio. Si tace. Davanti a un mistero grande,  che ci invita a riflettere anche sulla nostra vita, non solo sulla vita di chi muore. 
Probabilmente non la pensa così Antonio Socci, che su
Libero del 2 settembre 2012
mentre la salma del Vescovo è ancora esposta in Duomo pubblica un articolo feroce, e astioso. Pieno di livore nei confronti di una persona (non lo nomino per non mescolarlo in queste polemiche di bassa lega) che è stato per anni il suo Vescovo.
Non era forse il caso di rispettare i morti con un sano silenzio? Se non si vuole parlarne bene (ed è legittimo) non era meglio tacere? Invece, si leggono critiche pesanti contro la persona, non soltanto contro le sue idee. Fino ad arrivare quasi alla presunzione di sostituirsi a Colui che chiederà conto ad ognuno di noi di come abbiamo vissuto.
Pensavo fosse un compito del Padre Eterno. Invece il giornalista Socci, dimostrando profonda conoscenza di come funzionano le cose anche lassù… scrive: "Spero che il cardinale abbia conservato la fede fino alla fine. Le esaltazioni di Scalfari, Dario Fo, 'Il Manifesto', Cacciari, gli sono inutili davanti al Giudice dell'universo (se non saranno aggravanti)".
Perché tanto livore? Perché tanta acredine? Perchè neanche davanti alla morte cercare un po' di serenità? L'articolo di Socci sembra scritto quasi con spirito di vendetta, da consumarsi il più presto possibile.
Perché?
Quanta amarezza!
"Ci sarà tempo e modo di riflettere sulla sua figura e sulla sua lezione", scrive sul sito di Pax Christi (www.paxchristi.it) mons Giovanni Giudici,  per anni Vicario Generale a Milano e ora Vescovo di Pavia e Presidente Nazionale di Pax Christi. "In queste ore, basti il ricordo della sua attenzione alle ragioni alte della giustizia e della pace, come pure del tratto umano di rispetto per ogni persona… In certo modo l'essersi lasciato lui stesso plasmare dalla Parola di Dio mostra quale è la radice e lo sfondo della sua testimonianza".
Sì, ci sarà tempo per riflettere, per rimettersi in cammino, per ritrovare serenità e speranza, guidati dalla Lampada che fa luce ai nostri passi.

5 settembre 2012  - L'opinione di ... www.mosaicodipace.it