mercoledì 6 gennaio 2016

2015_12 A Vigevano dipendenti comunali passano dalla pacchia alla paura, soldi indebitamente ricevuti dal Comune?

Nel mirino finiscono i Fondi integrativi per i dipendenti nel periodo 2010-2013
Ma i sindacati contestano duramente il ricalcalo del dirigente del personale.
«Pagati 800 mila euro in più»
VIGEVANO - Rifatti tutti i conti si scopre che i dipendenti comunali avrebbero ricevuto - dal 2010 al 2013 - circa 800 mila euro in eccedenza rispetto alle somme dovute per quanto riguarda i fondi Integrativi (In sostanza premi di produzione e Indennità per mansioni e servizi svolti oltre i compiti di routine}, e il Comune intende recuperare quelle somme, sottraendole al futuri fondi o andando direttamente alla riscossione. 
Provvedimenti che stanno scatenando la reazione del dipendenti e del sindacati, anche legale, nel confronti dell'amministrazione (un incontro tra amministrazione e sindacati è già stato fissato per giovedì prossimo, 17 dicembre 2015). A scatenare il caso è la determina numero 1392 del 4 dicembre 2015, firmata dal responsabile dell'Istruttoria Marla Angela Giglia e dal dirigente del personale del Comune: Pietro Di Troia. Otto pagine che ricostruiscono una vicenda assai delicata e complessa, nella quale si incrociano diverse problematiche, non ultima quella delle risultanze dell'Ispezione del Ministero dell'economia che ritiene 11 Comune di Vigevano abbia eluso per due anni il Patto di stabilità. 
Tra le violazioni riscontrate anche quelle che riguardano 1 fondi integrativi per i Circa 400 dipendenti comunali. Ma sui rilievi del Mef manca ancora il sigillo della Corte dei Conti e in municipio si sta lavorando alle controdeduzioni. 
In caso di accertala violazione del Patto le conseguenze sarebbero molte e riguarderebbero anche 1 trattamenti accessori del personale, che sarebbero tagliati «Senza aspettare il verdetto della Corte del Conti e quindi sapere se effettivamente i rilievi del Mef siano fondati - dice Anna Maria Galantucci delta segreteria provinciale della Cgil Funzione Pubblica - si è effettuato un conteggio del tutto arbitrario, stabilendo addirittura la modalità di riscossione delle somme che si ritengono erogate in eccesso, ma che non sono affatto indebite ed erano previste contrattualmente. 
Chiaramente ci opporremo a tutto ciò, anche perché i dipendenti comunali non hanno responsabilità per provvedimenti presi esclusivamente dall'amministrazione». 
Il ricalcolo e la ricostruzione dei fondi era un incarico che il dirigente del personale aveva ricevuto tramite una delibera di giunta del settembre scorso.
Il risultato è per quanto riguarda i fondi dal 1993 al 2005 c'è la prescrizione, mentre dal 2005 al 2009 si stanno effettuando ulteriori approfondimenti; per il 2010 invece sono stati pagati 24.5 mila euro in più sul circa 2 milioni di totale di salari accessori.
Nel 2011 la somma da recuperane è di 198 mila euro e di 232 mila euro e nel 2013 si scende a 109 mila euro.  Una parte di queste somme saranno recuperate attraverso le norme previste dal cosiddetto decreto "Salvaroma" che consente di recuperare l'indebito sui fondi futuri. 
Ma le somme relative al 2013, ad esempio, rimangono escluse dal decreto che prende in considerazione il periodo fino al 31 dicembre 2012 e su di esse il Comune dovrà rivalersi su ciascun dipendente.

Traslitterazione dell'articolo apparso sul INFORMATORE VIGEVANESE

lunedì 16 novembre 2015

2015_11_13 PREGHIERA, SILENZIO, PAROLE POCHE e NIENTE ARMI













10 mesi dopo l'attentato a Charlie Hebdo

Più di 120 morti e moltissimi feriti, di cui un centinaio gravissimi, sono il frutto dei nuovi attacchi che hanno sconvolto Parigi a 10 mesi dall'attentato a Charlie Hebdo. 
E che sconvolgono anche noi.
La commozione, il silenzio e la solidarietà alle vittime, alle loro famiglie e a tutto il popolo francese, sono la prima forte emozione che ci ha accomunato a tanti.
Ma, oltre al dovere del silenzio – cos'altro di fronte ad un dolore così grande? - sentiamo la necessità di pronunciare alcune prime parole (altre probabilmente ne arriveranno dopo che avremo più notizie, e sapremo le decisioni dei nostri governanti).
Sono le parole di Papa Francesco, che con voce spezzata ha affermato che nessuna religione, ma neppure alcunchè che possa definirsi umano, può avere qualche attinenza con quanto successo a Parigi. 
“Usare il nome di Dio per uccidere è una bestemmia”.
Sono anche le nostre parole di sempre, quelle di un Movimento che riconosce nell'essenza del messaggio evangelico liberazione e pace.

Alla violenza occorre reagire in modo determinato e responsabile senza alimentare ulteriori violenze, isolando gli aggressori. 

E’ indispensabile - e come Pax Christi lo abbiamo ripetuto troppe volte – dire basta alla vendita di armi e non fare accordi economici con chi è direttamente coinvolto in questi progetti di morte. 
Recentemente abbiamo denunciato la vendita di armi italiane all’Arabia Saudita! 
Basta, Basta con le armi!!
Costruiamo  una politica di pace con mezzi di pace, la prevenzione nelle nostre città e tra i nostri giovani, il dialogo tra le religioni, una civiltà del diritto. Non vogliamo rassegnarci a logiche di guerra, 
"non dobbiamo disperare della pace se si costruisce la giustizia" (card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi).
Firenze, 15 novembre 2015 Pax Christi Italia

martedì 3 novembre 2015

4 novembre (2015): Vittoriosa conclusione ?

4 novembre: Vittoriosa conclusione ?
“La ricorrenza del 4 novembre è legata alle commemorazioni istituzionali che evocano la vittoriosa conclusione della 1ª Guerra Mondiale, 4 novembre 1918.”  E’ quanto si legge sul sito del Ministero della Difesa!  Ma come si fa a parlare ancora di vittoria?
Oltre 650.000 i morti solo tra i militari italiani. Complessivamente la prima Guerra Mondiale ha causato circa 26 milioni di morti tra militari e civili.
Non c’è nulla da festeggiare, se non la fine di “un’inutile strage” (Benedetto XV, 1917).
C’è un sito che merita di essere consultato soprattutto in questi giorni, aiuta a capire cosa è stata davvero la prima guerra mondiale: www.inutilestrage.it.
Ma le guerre continuano. Francesco a Redipuglia lo scorso anno disse : Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: ‘A me che importa?’.”
E il mercato delle armi è fiorente. In questi giorni abbiamo visto partire dall’aereoporto di Cagliari una grande quantità di bombe e munizioni con destinazione Arabia Saudita! Come Pax Christi ci uniamo all’appello di Rete Disarmo e altri per chiedere di sospendere l’invio di bombe e armamenti a tutti i paesi militarmente impegnati nel conflitto in Yemen”.   (www.disarmo.org/rete/a/42271.html).
Si sta concludento in questi giorni l’esercitazione della NATO “Trident Juncture 2015” , la più grande esercitazione della storia moderna della Nato.  
No, non abbiamo imparato molto. C’è chi ancora oggi fomenta una cultura di guerra, magari anche nei discorsi ufficiali della celebrazione del 4 Novembre: invece di parlare di morti si parla di eroi, invece di condannare la guerra, si celebra l’orgoglio nazionale magari invocando anche la benedizione di Dio che “renda forte le nostre armi”.  Pax Christi ha preparato una preghiera… un po’ diversa,  ispirata ai testi di Papa Francesco: www.paxchristi.it/?p=11070.
Poi c’è chi chiede scusa, come Bush e Blair sulla guerra in Iraq: ‘scusate, abbiamo sbagliato’. E tutto finisce lì.
Ce n’è di strada da fare. Ma ci mettiamo in cammino con convinzione, con le tante persone che credono che “Un'altra difesa è possibile” , la Campagna che ha depositato in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile.
C’è bisogno di lavorare per una cultura di pace, e proprio il numero di novembre di Mosaico di Pace (rivista promossa da Pax Christi e fondata da don Tonino) dedica editoriale e dossier alla guerra e ai conflitti dimenticati. (www.mosaicodipace.it)
E poi c’è l’appuntamento il 31 dicembre 2015 a Molfetta per la marcia per la pace !
Ci proviamo anche a continuare il cammino di confronto con i Cappellani Militari: appuntamento il 7 Novembre alla Casa per la Pace di Firenze. (www.paxchristi.it/?p=11036)
E’ un 4 novembre che ci deve trovare vigilanti. Attenti a non cadere nella trappola della retorica, e degli affari, che sempre accompagnano ogni guerra!
E’ un 4 novembre di lutto, nel ricordo di tutte le vittime. Altro che ricordare una vittoria! 
Ci aiutano le parole di Pier Paolo Pasolini, che parlava della necessità di “educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati”.
4 novembre 2015
d. Renato Sacco,  coordinatore nazionale di Pax Christi

La guerra, una follia da abolire

La guerra, una follia da abolire

Dio della pace, facci comprendere la follia della guerra!
Dio della croce, lenisci le ferite della guerra!
Dio fratello di ogni uomo, fa che ci prendiamo cura gli uni degli altri!
Dio della vita, donaci il coraggio di abolire la guerra!
Dio della pace, ferma i pianificatori del terrore e gli imprenditori delle armi!
Dio degli uomini, fa che non ci stanchiamo di ricordare che «ciascuno è immensamente sacro»!
Francesco

Mentre tu, o Dio, porti avanti la tua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla tua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che tu hai creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione.
Dio della pace, facci comprendere la follia della guerra!
Purtroppo si va intensificando oggi la violenza e si moltiplicano i teatri di guerra in diverse aree del mondo, l’Africa, l’Europa ed il Medio Oriente. Stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”. La guerra sfigura i legami tra fratelli, tra nazioni; sfigura anche coloro che sono testimoni di tali atrocità. La guerra lascia sempre un segno indelebile.
Dio della croce, lenisci le ferite della guerra!
La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere, sono i motivi che spingono avanti la decisione bellica, e sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”.
Dio fratello di ogni uomo, fa che ci prendiamo cura gli uni degli altri!
La guerra è in sé stessa disumanizzante e come cristiani, restiamo profondamente convinti che lo scopo ultimo, il più degno della persona e della comunità umana, è l’abolizione della guerra.
Dio della vita, donaci il coraggio di abolire la guerra!
Dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”. Questi affaristi della guerra forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere.
Dio della pace, ferma i pianificatori del terrore e gli imprenditori delle armi!
Dobbiamo sempre impegnarci a costruire ponti che uniscono e non muri che separano. Dobbiamo sempre aiutare a cercare uno spiraglio, mai cedere alla tentazione di considerare l’altro come un nemico da distruggere, ma piuttosto come una persona, dotata di intrinseca dignità, creata da Dio a sua immagine.
Dio degli uomini, fa che non ci stanchiamo di ricordare che «ciascuno è immensamente sacro»!
Francesco


Preghiera tratta da due discorsi di papa Francesco:
Redipuglia, 13.9.14; Roma, 26.10.15

domenica 4 ottobre 2015

La confessione del monsignore «Sono gay e ho un compagno»

Il teologo Krzysztof Charamsa: «Voglio scuotere questa mia Chiesa. So che ne pagherò le conseguenze: l'amore omosessuale è un amore familiare, aprano gli occhi


«Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità
Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l'astinenza totale dalla vita d'amore, è disumana». 
Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco da 17 anni residente a Roma, lo dice con un sorriso serio e pacato.
Non è un sacerdote qualunque: ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2003, è segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegna teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma.
Mai prima d'ora un religioso con un ruolo attivo in Vaticano aveva fatto una dichiarazione del genere. Oggi monsignor Charamsa sarà a Roma alla prima assemblea internazionale dei cattolici LGBT organizzata dal Global Network of Rainbow Catholics alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, per sostenere il dialogo sui gay cattolici.

Perché ha deciso di fare coming out? 
«Arriva un giorno che qualcosa si rompe dentro di te, non ne puoi più. Da solo mi sarei perso nell'incubo della mia omosessualità negata, ma Dio non ci lascia mai soli. E credo che mi abbia portato a fare ora questa scelta esistenziale così forte - forte per le sue conseguenze, ma dovrebbe essere la più semplice per ogni omosessuale, la premessa per vivere coerentemente - perché siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant'anni. Dunque dico alla Chiesa chi sono. Lo faccio per me, per la mia comunità, per la Chiesa. È anche mio dovere nei confronti della comunità delle minoranze sessuali». 

Cosa pensa di ottenere? 
«Mi pare che nella Chiesa non conosciamo l'omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti, ma non li abbiamo mai guardati negli occhi, perché di rado essi dicono chi sono. Vorrei con la mia storia scuotere un po' la coscienza di questa mia Chiesa. Al Santo Padre rivelerò personalmente la mia identità con una lettera. E comunicherò chi sono alle università romane dove insegno: con mio grande dolore è probabile che non potrò più lavorare nella scuola cattolica».

Lo fa alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, che inizia domani in Vaticano. 
«Sì, vorrei dire al Sinodo che l'amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all'amore e quell'amore deve esser protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa. Il Cristianesimo è la religione dell'amore: è ciò che caratterizza il Gesù che noi portiamo al mondo. Una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura e questo bene del nostro amore lo offriamo agli altri, perché è un fatto pubblico, non privato, e non è una ricerca esasperata del piacere». 

Questa però non è la concezione della Chiesa. 
«No, non sono posizioni dell'attuale dottrina della Chiesa, ma sono presenti nella ricerca teologica. In quella cristiana in modo ponderoso, ma abbiamo anche ottimi teologi cattolici che su questi aspetti producono contributi importanti». 

Il Catechismo cattolico sulla base della lettura biblica definisce l'omosessualità come una tendenza «intrinsecamente disordinata».
«La Bibbia non parla mai di omosessualità. Parla invece degli atti che io definirei "omogenitali". Possono essere compiuti anche da persone eterosessuali, come succede in molte prigioni. In questo senso potrebbero essere un momento di infedeltà alla propria natura e quindi un peccato. Quegli stessi atti compiuti da una persona omosessuale esprimono invece la sua natura. Il sodomita biblico non ha niente a che fare con due omosessuali che oggi in Italia si amano e vogliono sposarsi. Non trovo nella scrittura nemmeno una pagina, neanche in San Paolo, che possa riferirsi alle persone omosessuali che chiedono di essere rispettate nel loro orientamento, un concetto sconosciuto all'epoca». 

La dottrina cattolica esclude dal sacerdozio i gay: lei come ha potuto diventarlo? 
«È una regola introdotta nel 2005 quando io ero già sacerdote, e che vale solo per le nuove ordinazioni. Per me è stato un trauma. Prima non era così e credo che sia un errore da correggere».
 
Lei ha sempre saputo di essere gay? 
«Sì, ma all'inizio non lo accettavo, mi sono sottomesso con pignoleria zelante all'insegnamento della Chiesa e al vissuto che mi imponeva: il principio che "l'omosessualità non esiste". E se c'è va distrutta». 

Come è passato dal rifiuto alla «felicità» di essere gay? 
«Studiando, pregando e riflettendo su di me. Sono stati fondamentali il dialogo con Dio e il confronto con la teologia, la filosofia, la scienza. Adesso, poi, ho un compagno che mi ha aiutato a trasformare le ultime paure nella forza d'amore». 

Un compagno? Questo non è ancora più inconciliabile con il sacerdozio cattolico? 
«So che la Chiesa mi vedrà come qualcuno che non ha saputo mantenere una promessa, che si è perso e per di più non con una donna, ma con un uomo! E so anche che dovrò rinunciare al ministero, che pure è tutta la mia vita. Ma non lo faccio per poter vivere con il mio compagno. Questa è una decisione molto più ampia che nasce dalla riflessione sul pensiero della Chiesa». 

Cioè? 
«Se non fossi trasparente, se non mi accettassi, non potrei comunque essere un buon sacerdote perché non potrei fare da tramite alla felicità di Dio. Penso che su questi temi la Chiesa sia in ritardo rispetto alle conoscenze che ha raggiunto l'umanità. È già successo in passato: ma se si è in ritardo sull'astronomia le conseguenze non sono così pesanti come quando il ritardo riguarda qualcosa che tocca la parte più intima delle persone. La Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi».

tratto da