IL GRIDO DELL'UOMO NELL’ORTO DEL SILENZIO
L’agonia di Gesù secondo Gianfranco Ravasi nel terzo Quaresimale della Cattedrale
«Rasenta la bestemmia, ma è più caro a Dio della preghiera tranquilla del benpensante». Così il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, descrive il grido di Gesù che sale dall’orto degli Ulivi nel terzo Quaresimale della Cattedrale, a Novara, venerdì 28 marzo. Un grido che riassume in sé il dolore dell’umanità che soffre e si interroga sul “silenzio assordante” di un Dio che sembra assente e lontano nel momento della prova. E il suo gemere trova eco nel commento musicale di Giuseppe Tosatti, con il suono del flauto che «nella tradizione mistica dei dervisci esprime la nostalgia profonda dell’anima che anela a Dio, come la canna del flauto piange la radice del canneto da cui traeva linfa vitale». «La paura della morte, l’abbandono e il tradimento degli amici, la tortura. Gesù sperimenta tutta la gamma della sofferenza umana – spiega Ravasi –, e si rivolge al Padre in una preghiera che i Vangeli non temono di descrivere come una lotta, supplicando che non debba bere il calice della prova, simbolo dell’ira che annienta i nemici. In lui Dio non si è semplicemente chinato sull’uomo, ma è entrato lui stesso nel nostro limite, nella nostra caducità e mortalità». Ma «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà», legge Lucilla Giagnoni, prestando la voce a Gesù nella lettura del Vangelo secondo Matteo. Perché, commenta Ravasi, «nella lotta la volontà dell’uomo e quella di Dio giungono al punto d’incontro, e la vita subisce una svolta radicale. Come accadde al patriarca Giacobbe, quando lottò con Dio presso il torrente Iabbok e fu dal lui benedetto con nuovo nome di Israele. E come accadde ad Abramo, quando Dio lo chiamò a offrire in sacrificio il suo figlio Isacco, per diventare padre di moltitudini». Così nell’orto degli Ulivi – conclude il vescovo Franco Giulio Brambilla – «l’umanità nuova di Cristo non è solo accanto a noi, ma entra in noi, per trasformarci intimamente e renderci simili a lui nell’obbedienza fiduciosa al Padre».
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