Cyberbullismo - “Nelle scuole troppi pseudo esperti, così i ragazzi perdono fiducia nelle istituzioni”
Dall’ultima
indagine di Fondazione Carolina, lezioni utili solo per il 14% degli
studenti, che vogliono più strumenti per navigare sicuri
Paolo Picchio, “Serve una regia per certificare competenze e garantire una formazione seria”
Un manifesto per unire le buone prassi contro il cyberbullismo e favorire una digital life
sicura e positiva. L’idea nasce da Fondazione Carolina, la Onlus che
promuove una sana crescita online dei ragazzi, nata in memoria di
Carolina Picchio, la prima vittima di cyberbullismo in Italia, e del suo
messaggio: “Le Parole fanno più male delle botte...”.
“La proposta nasce in occasione del lancio della nostra ultima indagine nelle scuole - commenta il Segretario generale, Ivano Zoppi
- e si propone di riunire sotto un’unica bandiera quelle realtà che
davvero operano nell’interesse della comunità, senza fini di lucro e
spendendo una credibilità acquisita sul campo”. Una sorta di nazionale
contro il cyberbullismo che garantisca alle famiglie i migliori
strumenti, scientificamente supportati, per aiutare i minori a
difendersi dai pericoli della Rete.
Ogni
giorno in Italia si tengono centinaia di lezioni sul cyberbullismo. Si
tratta di contributi esterni, a cura di professionisti chiamati dalle
scuole per formare ragazzi e genitori sui rischi legati all’uso distorto
degli strumenti digitali. Un grande mercato, tanto più se consideriamo
l’aggiornamento professionale degli insegnanti e la formazione
obbligatoria dei docenti referenti per il cyberbullismo.
Ma
funzionano davvero queste lezioni? Lo abbiamo chiesto direttamente ai
ragazzi, con un campione di 1000 studenti tra i 9 e i 17 anni
distribuito su tutto il territorio nazionale. Dall’indagine, condotta
dall’inizio dell’anno scolastico in collaborazione con Pepita Onlus,
emerge che soltanto il 14% degli intervistati ritiene davvero utili gli approfondimenti sul cyberbullismo, il 55% addirittura poco o nulla.
Quando
dalle lezioni frontali si passa ai laboratori interattivi, la risposta
cambia. Ben il 50% afferma che siano molto interessanti, mentre il 90%
del campione sostiene comunque la loro utilità.
“La
spiegazione di questo delta è molto semplice - commenta il segretario
generale di Fondazione Carolina, Ivano Zoppi - e si spiega con il
quesito sul coinvolgimento dei ragazzi, che si dichiarano
adeguatamente coinvolto dalle lezioni frontali solo per il 35%,
percentuale che cresce fino al 75% rispetto alle attività
laboratoriali”.
Più
in generale, dall’indagine - la prima in Italia sull’efficacia degli
interventi scolastici in materia di educazione digitale - emerge che soltanto il 15% degli studenti parla con i genitori di quanto appreso in classe.
“A chiedere di essere seguiti con più attenzione sono proprio gli
studenti, che nella sezione ‘suggerimenti’ del questionario auspicano “meno convegni, più pratica”, “attività più continue durante l’anno scolastico”, “più interazione e utilizzo degli smartphone”.
Allora
che cosa può fare il mondo degli adulti? “Dobbiamo rispettare di più le
nuove generazioni, capire che per aiutarli non basta aver letto due
libri - ammonisce Zoppi - e mostrare qualche video su YouTube; ci
vogliono competenze, passione e credibilità, invece nelle scuole entrano
tanti, troppi pseudo esperti, che concorrono ai fondi per la formazione
senza alcuna preparazione specifica e la dovuta esperienza, forti delle
maglie larghe delle isitutizioni”. Il danno non è tanto per le
associazioni oneste, quanto per gli insegnati, i ragazzi e le loro
famiglie. “A volte gli istituti ci chiamano per mettere a posto i
pasticci creati da principianti allo sbaraglio. Noi li chiamiamo i furbetti del cyberbullismo,
che alimentano luoghi comuni fuorvianti e dannosi. Il fatto che i
genitori non possano e non debbano controllare il telefono dei figli,
per esempio, cozza con la responsabilità, anche penale”, osserva Zoppi.
“Altra panzana, che i ragazzi siano molto più bravi degli adulti a
utilizzare lo smartphone; una fake news clamorosa,
perché sono proprio i più giovani ad ignorare completamente le
configurazioni idonee per tutelare le loro immagini e i propri dati, su
tutti la geolocalizzazione”, aggiunge l’esperto educatore.
Quale
può essere la soluzione? “Assieme a comprovati professionisti in ambito
educativo, clinico, legale e comunicativo, abbiamo elaborato un
documento che impegni istituzioni e stakeholder per il benessere delle
nuove generazioni”, precisa Paolo Picchio, papà di
Carolina e Presidente onorario della Fondazione. “Il nostro team ha
svolto un lavoro importante, capace di coinvolgere già due delle
multinazionali più importanti del mondo digitale. Uno stimolo per tutta
la comunità educante, che presenteremo con l’inizio del prossimo anno”,
anticipa Papà Picchio, come lo chiamano affettuosamente i teen ager.
Dall’entrata
in vigore della legge 71/17 in materia cyberbullismo, che il Parlamento
ha dedicato proprio a Carolina, sono stati fatti dei passi in avanti,
soprattutto sul fronte divulgativo. “Oggi tutti riconoscono il fenomeno
del bullismo, anche nella sfera digitale, ma siamo indietro in termini
di ricerca e di supporto, proprio mentre gli episodi aumentano
costantemente (circa 9 giovani su 10 coinvolti in episodi di
cyberbullismo secondo EURES) e cresce il disagio, online e in famiglia”,
denuncia il Centro studi di Fondazione Carolina.
“Questo
progetto rappresenta la sfida più impegnativa in oltre 20 anni di
esperienza in ambito educativo - conclude Ivano Zoppi - e credo che
possa contribuire a dare finalmente risposte concrete a quella che da
più parti viene considerata una emergenza, sociale e culturale”.
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