mercoledì 30 ottobre 2019

2019_10_30 Cyberbullismo

Cyberbullismo - “Nelle scuole troppi pseudo esperti, così i ragazzi perdono fiducia nelle istituzioni”
Dall’ultima indagine di Fondazione Carolina, lezioni utili solo per il 14% degli studenti, che vogliono più strumenti per navigare sicuri
Paolo Picchio, “Serve una regia per certificare competenze e garantire una formazione seria”

Un manifesto per unire le buone prassi contro il cyberbullismo e favorire una digital life sicura e positiva. L’idea nasce da Fondazione Carolina, la Onlus che promuove una sana crescita online dei ragazzi, nata in memoria di Carolina Picchio, la prima vittima di cyberbullismo in Italia, e del suo messaggio: “Le Parole fanno più male delle botte...”.
“La proposta nasce in occasione del lancio della nostra ultima indagine nelle scuole - commenta il Segretario generale, Ivano Zoppi - e si propone di riunire sotto un’unica bandiera quelle realtà che davvero operano nell’interesse della comunità, senza fini di lucro e spendendo una credibilità acquisita sul campo”. Una sorta di nazionale contro il cyberbullismo che garantisca alle famiglie i migliori strumenti, scientificamente supportati, per aiutare i minori a difendersi dai pericoli della Rete.

Ogni giorno in Italia si tengono centinaia di lezioni sul cyberbullismo. Si tratta di contributi esterni, a cura di professionisti chiamati dalle scuole per formare ragazzi e genitori sui rischi legati all’uso distorto degli strumenti digitali. Un grande mercato, tanto più se consideriamo l’aggiornamento professionale degli insegnanti e la formazione obbligatoria dei docenti referenti per il cyberbullismo.
Ma funzionano davvero queste lezioni? Lo abbiamo chiesto direttamente ai ragazzi, con un campione di 1000 studenti tra i 9 e i 17 anni distribuito su tutto il territorio nazionale. Dall’indagine, condotta dall’inizio dell’anno scolastico in collaborazione con Pepita Onlus, emerge che soltanto il 14% degli intervistati ritiene davvero utili gli approfondimenti sul cyberbullismo, il 55% addirittura poco o nulla.
Quando dalle lezioni frontali si passa ai laboratori interattivi, la risposta cambia. Ben il 50% afferma che siano molto interessanti, mentre il 90% del campione sostiene comunque la loro utilità.

“La spiegazione di questo delta è molto semplice - commenta il segretario generale di Fondazione Carolina, Ivano Zoppi - e si spiega con il quesito sul coinvolgimento dei ragazzi, che si dichiarano adeguatamente coinvolto dalle lezioni frontali solo per il 35%, percentuale che cresce fino al 75% rispetto alle attività laboratoriali”.
Più in generale, dall’indagine - la prima in Italia sull’efficacia degli interventi scolastici in materia di educazione digitale - emerge che soltanto il 15% degli studenti parla con i genitori di quanto appreso in classe. “A chiedere di essere seguiti con più attenzione sono proprio gli studenti, che nella sezione ‘suggerimenti’ del questionario auspicano “meno convegni, più pratica”, “attività più continue durante l’anno scolastico”, “più interazione e utilizzo degli smartphone”.

Allora che cosa può fare il mondo degli adulti? “Dobbiamo rispettare di più le nuove generazioni, capire che per aiutarli non basta aver letto due libri - ammonisce Zoppi - e mostrare qualche video su YouTube; ci vogliono competenze, passione e credibilità, invece nelle scuole entrano tanti, troppi pseudo esperti, che concorrono ai fondi per la formazione senza alcuna preparazione specifica e la dovuta esperienza, forti delle maglie larghe delle isitutizioni”. Il danno non è tanto per le associazioni oneste, quanto per gli insegnati, i ragazzi e le loro famiglie. “A volte gli istituti ci chiamano per mettere a posto i pasticci creati da principianti allo sbaraglio. Noi li chiamiamo i furbetti del cyberbullismo, che alimentano luoghi comuni fuorvianti e dannosi. Il fatto che i genitori non possano e non debbano controllare il telefono dei figli, per esempio, cozza con la responsabilità, anche penale”, osserva Zoppi. “Altra panzana, che i ragazzi siano molto più bravi degli adulti a utilizzare lo smartphone; una fake news clamorosa, perché sono proprio i più giovani ad ignorare completamente le configurazioni idonee per tutelare le loro immagini e i propri dati, su tutti la geolocalizzazione”, aggiunge l’esperto educatore.

Quale può essere la soluzione? “Assieme a comprovati professionisti in ambito educativo, clinico, legale e comunicativo, abbiamo elaborato un documento che impegni istituzioni e stakeholder per il benessere delle nuove generazioni”, precisa Paolo Picchio, papà di Carolina e Presidente onorario della Fondazione. “Il nostro team ha svolto un lavoro importante, capace di coinvolgere già due delle multinazionali più importanti del mondo digitale. Uno stimolo per tutta la comunità educante, che presenteremo con l’inizio del prossimo anno”, anticipa Papà Picchio, come lo chiamano affettuosamente i teen ager.
Dall’entrata in vigore della legge 71/17 in materia cyberbullismo, che il Parlamento ha dedicato proprio a Carolina, sono stati fatti dei passi in avanti, soprattutto sul fronte divulgativo. “Oggi tutti riconoscono il fenomeno del bullismo, anche nella sfera digitale, ma siamo indietro in termini di ricerca e di supporto, proprio mentre gli episodi aumentano costantemente (circa 9 giovani su 10 coinvolti in episodi di cyberbullismo secondo EURES) e cresce il disagio, online e in famiglia”, denuncia il Centro studi di Fondazione Carolina.

“Questo progetto rappresenta la sfida più impegnativa in oltre 20 anni di esperienza in ambito educativo - conclude Ivano Zoppi - e credo che possa contribuire a dare finalmente risposte concrete a quella che da più parti viene considerata una emergenza, sociale e culturale”.

info ufficiostampa@fondazionecarolina.org

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