venerdì 21 agosto 2009

Può esistere un "sacro" che non sia separato dalla vita e che non preveda la mediazione della casta?

Si apre qui una contraddizione intrigante: come può avvenire l'incontro diretto del sacro con la vita se il sacro è essenzialmente separazione?

Umberto Galimberti, professore di filosofia della storia e saggista, ha scritto un libro dedicato proprio a indagare una tale contraddizione: Orme del sacro (Feltrinelli, Milano, 2000).

"Sacro" - egli scrive nella introduzione - è parola indoeuropea che significa "separato". Dal sacro - argomenta Galimberti - l'uomo tende a tenersi lontano, come sempre accade di fronte a ciò che si teme, e al tempo stesso ne è attratto come lo si può essere nei confronti dell'origine da cui un giorno ci si è emancipati. Questo rapporto ambivalente è l'essenza di ogni religione che, come vuole la parola, recinge, tenendola in sé raccolta (re-legere), l'area del sacro. Al contatto con il sacro sono preposte persone consacrate e separate dal resto della comunità cioè i sacerdoti. Le religioni mitiche assolvevano al compito di gestire il rapporto dell'uomo col sacro socchiudendo appena la porta dietro la quale si aggira la violenza dell'indifferenziato e del caos cioè del mistero, quasi che inoculando un po' di caos si potesse resistere al Caos.

Il cristianesimo invece, con la incarnazione di Dio, pone le premesse della rimozione del sacro.

Non c'è più un tempo sacro e un tempo profano, un tempo di Dio e un tempo dell'uomo, ma un unico tempo, in cui sia Dio sia l'uomo concorrono alla redenzione del mondo. Ciò significa che tutto il tempo è stato sacralizzato o, che è lo stesso, che tutto il sacro è stato "profanato". Dando un senso al tempo, orientando il tempo verso la redenzione definitiva, il cristianesimo ha istituito il tempo come storia, storia della salvezza. Ma affievolendosi poi la fede religiosa, il senso del tempo da storia della salvezza è diventato teoria delprogresso dove il tema della redenzione viene recuperato nella forma di liberazione. Galimberti cita a questo proposito Schlegel il quale afferma che "Il desiderio rivoluzionario di realizzare il regno di Dio è il punto elastico di tutta la cultura progressiva e l'inizio della storia moderna". Storia secolarizzata quanto si vuole ma sostanzialmente cristiana, sia che si tratti dell'illuminismo, sia del socialismo, sia del liberismo.

Galimberti nel corso del suo denso e talvolta faticoso ragionamento giunge a una conclusione che a me sembra esprimere una certa nostalgia del sacro reificato e separato e della sua gestione da parte della religione. In prima istanza, anche lui, come Balducci, vede nell'oggi quasi un crinale apocalittico. "Giunti al punto in cui la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere, il sacro, che la nostra cultura ritiene di aver confinato nella preistoria, torna a farsi minaccioso, e per giunta a nostra insaputa, senza che noi lo si possa riconoscere, perché del sacro abbiamo perso non solo l'origine, ma anche la traccia che segnava il limite oltre il quale era prudente non avventurarsi"… Siamo divenuti orfani del sacro perché il cristianesimo "… producendosi in discorsi che ogni società può fare tranquillamente da sé (i discorsi sull'etica, ndr), lascia la gestione della notte indifferenziata del sacro alla solitudine dei singoli che, privi come sono di quelle metafore di base dell'umanità che hanno fatto grandi le religioni storiche, producono quelle premesse vuote, ma più spesso tragiche, che sono il nutrimento di quella religiosità da New Age che viene incontro a quel nucleo di follia che ciascuno di noi avverte dentro di sé come non interpretabile, non culturalizzabile, non leggibile. Per capire questa dimensione religiosa… è necessario che il cristianesimo compia un 'esodo' da se stesso e partecipi non solo culturalmente ma anche psicologicamente a queste diverse visioni del mondo dove un dio, dimenticato dalla pratica del cristianesimo storico, agita le menti".

Se Galimberti vuol dire che il cristianesimo deve uscire dalla dimensione dell'etica per tornare a gestire il sacro in quanto realtà reificata e separata allora è più vicino a Messori che a Balducci. Anche il noto scrittore cattolico, ligio credente, autore fra l'altro di un libro a quattro mani addirittura con Giovanni Paolo II, in una intervista a la Repubblica del 30 dicembre 2000, sostiene che il Magistero ecclesiastico deve ritrarsi dal dettar norme etiche e occuparsi di più di Dio, di Cristo, della fede. "Cosa è questo continuo frugare tra embrioni, uteri, cellule, contraccezione, riproduzione assistita, - si chiede Vittorio Messori - se non un vero e proprio tentativo di ridurre la fede cristiana a semplice opzione moralistica? Gli uomini di chiesa tornino ad annunciare, prima di tutto, la fede in Cristo e la smettano di dare l'impressione di guardare solo nella camera da letto".

Sia a Messori che a Galimberti, i quali peraltro dicono alcune cose che considero condivisibili quasi ovvie, sfugge mi sembra la dimensione del potere che invece ha ben presente Balducci. Non solo l'etica ma anche il sacro, anche Dio, anche Gesù, anche la fede cristiana vanno ricondotti nelle mani degli uomini e delle donne, di tutti noi in quanto laici, e vanno sottratti al monopolio degli "uomini di Chiesa". E in questo senso la New Age, verso cui Galimberti è impietoso, non sarà la soluzione ma può essere un tentativo, una ricerca a tentoni da guardare criticamente ma non da demonizzare globalmente e soprattutto non va assolutamente confusa con le sette fanatiche che producono suicidi di massa.

Il problema della separatezza del sacro ritengo che non si risolva affidandolo di nuovo alle religioni, quasi come in una riedizione dello scambio ormai anacronistico fra poteri laici e poteri religiosi: voi ci lasciate l'etica e la politica e noi vi lasciamo il mistero, i fini ultimi e il sacro. Forse non c'è una soluzione definitiva ma una indicazione secondo me corretta e attuale è quella che ha animato il Convegno fiorentino delle Comunità di base sulla laicità e sulla violenza del sacro, citato sopra, e che si può sintetizzare distinguendo da un lato il sacro come reificazione violenta del mistero e dell'inesplorato, operata dal potere, e dall'altro lato il sacro come miniera profonda e fonte nascosta di inedito che soggiace alla razionalità, alle provvisorie conquiste umane, alle consapevolezze acquisite o "edite".

Questo secondo universo del sacro è sì "separato" ma non dalla vita di cui invece è l'anima segreta. Allora in che senso è separato? In quanto è "altro" rispetto alla cultura dominante e come riserva di criticità rispetto a tutte le sacralizzazioni delle nostre provvisorietà. Infine è separato come il sogno dalla realtà diurna. E il sogno attuale che ho cercato di delineare è proprio una nuova divisione delle acque per aprire il tempo di un grande esodo, di un nuovo deserto e di un nuovo Sinai.

Possiamo assumere come luogo simbolico di questo nuovo Sinai il crocicchio, la strada, la piazza, insomma ciò che si trova quando si esce dalle reificazioni del sacro in tutte le sue dimensioni, cioè dalle mura, dalle porte blindate, dai sacri recinti della casta?

tratto da

Collegamento Seminariale Nazionale delle CdB

8 e 9 dicembre 2007 Tirrenia (LI)

Hotel Florida - Viale del Tirreno, 227

FARE COMUNITA'

MINISTERI/SERVIZI: QUALI? COME ESERCITARLI?

 

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